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Il centro italiano

Il centro Italo-Russo per le ricerche su mass-media, cultura e comunicazione

La carta selvaggia (L’Optimum, maggio 2006). Eugenia Selisceva

Uscire dalla massa e prendere ognuno la sua strada e una regola d’oro non solo per avere una carriera brillante e ricca di successi, ma anche per riposare bene. I pacchetti turistici preconfezionati vengono sostituiti da avventure vere – per tutti quelli che si sono già stancati di bighellonare sulla spiaggia.

Noi russi prendiamo spesso in giro gli stranieri “retrogradi” che immaginano la nostra Siberia popolata solo dagli orsi bianchi vagabondanti in mezzo alle città: d'altro canto, proviamo per un attimo ad immaginare cosa possano pensare gli africani di quelli che si limitano a vedere le spiagge egiziane pensando di “scoprire l’Africa”. Il vero esotismo sembra ormai una cosa talmente rara che non la si trova che nelle “isole dei famosi”. Comunque le giraffe, le tigri e le tipiche danze tribali africane sono raggiungibili per quelli che non si accontentano delle vacanze “all inclusive” organizzate nei minimi dettagli dai tour operator piu famosi. I tempi dei pioneri sono passati e arrivati di nuovo: il tracciare i sentieri nuovi nei luoghi ancora esotici è diventato un piacere per quelli che non si sentono a proprio agio quando si confondono con il turismo di massa. Dagli anni 80 in Europa si sta sviluppando il turismo cosiddetto responsabile o solidale che restituisce ai viaggi la loro essenza originaria – l'improvvisazione, il fascino della scoperta, dello sperimentare cose nuove. Una coppia italiana, Raffaella e Giovanni Bigliazzi (lei – medico, lui – ingegnere), per festeggiare il loro matrimonio si sono recati in Tanzania e a Zanzibar, per seguire l’itinerario proposto dal centro cooperativo “Viaggi Solidali”. Max Gini, coordinatore del progetto, e l'inseparabile coppia – risponderanno alle nostre domande su “com’e andata” e, soprattutto, ci racconteranno perche ne valeva davvero la pena.

Raffaella: Noi avevamo già alle spalle l’esperienza dei viaggi in Brasile: un paio d’anni fa abbiamo fatto un tour completo del Paese. Perciò quando abbiamo deciso di regalarci la luna di miele africana, non sono stati sorpresi nè i genitori, nè gli amici.
Giovanni: Solo che nelle agenzie turistiche ci si proponeva sempre lo stesso: grandi hotel, le spiagge da cartolina, insomma le solite vacanze “all inclusive”. Noi invece volevamo sentirci un po indigeni e quasi disperati ci siamo messi a cercare qualcosa di veramente diverso nella rete. E siamo rimasti proprio meravigliati quando abbiamo scoperto l'esistenza di una vera e propria organizzazione che si occupa di pianificare viaggi simili a quello che avevamo intenzione di fare.
Max: A dire la verità, proprio qui, in Italia, abbiamo scoperto il turismo responsabile relativamente tardi. In Inghilterra o in Olanda, ad esempio, si e incominciato a sviluppare già venti anni fa – per un motivo molto semplice: la gente si era stancata già allora del turismo “di massa”. Da noi questa “stanchezza” è venuta fuori alle fine degli anni 90 – e sono apparse alcune organizzazioni che hanno incominciato a tracciare itinerari nei paesi africani, asiatici e sudamericani.

- In che consiste la responsabilità del turista “responsabile”? Una parola che puo anche allontanare, per essere sinceri...
Max: Si parla piuttosto della responsabilità economica che ormai non interessa troppo i viaggiatori. Il turismo solidale è un fenomeno nato, se vogliamo dirlo, sotto l’egida della giustizia sociale: l'arretratezza economica che caratterizza ancora oggi certi paesi extraeuropei non e una valida ragione affinche gli europei continuino ad occuparne il territorio, a costruire le loro strutture ricettive – come alberghi o centri di divertimento – e ci guadagnino i soldi mentre gli indigeni sono costretti ad accontentarsi delle briciole facendo gli inservienti o vendendo souvenir nei mercati. E poi, per i turisti questo diventa una cosa assurda: ti trovi in un Paese nuovo – e non lo “vivi” affatto: in pratica l'esperienza diventa molto simile a quando ci si reca in uno zoo: si ammirano animali esotici ma rinchiusi in una gabbia, non liberi nel loro ambiente naturale. Questo permette solo una conoscenza superficiale del posto che si sta visitando– ed è cosi non solo per i turisti ma anche per gli indigeni. Allora, che senso c’e nell’andarci? Quindi, si puo affermare che il turista responsabile e semplicemente quello che vuole veramente “conoscere”, “vivere in profondità” i posti che visita.
Giovanni: Nei 24 giorni di vacanza in Africa abbiamo dormito in un albergo “normale”, europeo solo per due notti – e solamente perche quell’albergo si trovava sul territorio di un parco enorme e non volevamo perdere tempo, lasciandolo solo per una notte. A parte quel caso c’erano solo dei piccoli alberghi locali e a volte dormivamo quasi all’aperto – quando eravamo ospiti delle tribu. Le condizioni di vita erano davvero spartane, tanto che, il bagno era spesso fuori ed era uno per tutti...

- Avete sognato proprio questo immaginando il vostro viaggio di nozze? Il bagno all’aperto?
Raffaella: E perche no? Comunque, abbiamo visto le tigri attaccare le zebre: ti sembra di vivere un documentario! – e per noi una tribu ha ballato la danza delle nozze (dopo hanno saputo quanti anni abbiamo e sono rimasti pietrificati – per loro e vergognoso a trent’anni non avere cinque-sei bambini), abbiamo fatto il bagno in una cascata, abbiamo visitato gli artigiani locali, abbiamo preso il sole su una spiaggia deserta: solo il sole, il mare e la sabbia – come dovrebbe essere in una vera vacanza…
Giovanni: Il bello e che il viaggio era “vero”, estremamente “vero”. Si, spesso dovevamo andare con la jeep sulle strade deserte e polverose per diverse ore, dovevamo portare con noi l’acqua per poterci lavare almeno un po, aspettare gli accompagnatori… Lei sa, gli africani non hanno nessuna fretta, non capiscono proprio questo concetto: se non partiamo oggi, per loro è lo stesso, si partirà domani. Insomma, non erano certo condizioni abituali per noi – ma cosi si prova molto piu interesse, perche si capisce che loro vivono proprio cosi: seguono il letto ormai inaridito dei fiumi, le strade polverose…
Rafaella: Ma la cosa piu esotica e percepire che loro vivono alla giornata: ci sono tribu dove tutti gli uomini sono figli del capo, perche lui ha cinque mogli, anche se la maggior parte degli africani, capo compreso, sono sulla carta cattolici. E queste mogli vivono nella stessa casa, ma in locali diversi…

- Nel comunicare vi limitavate alla guida o siete comunque riusciti a parlare un po anche con i capitribu?
Giovanni: Con i capi le conversazioni diventavano lunghissime: si doveva tradurre dal dialetto della tribu all’africano normale, poi da quello all’inglese e solo dopo all’italiano. Ma in generale gli africani si impadroniscono bene delle lingue straniere – ne abbiamo incontrato alcuni che parlavano un italiano abbastanza comprensibile.
Max: Per fortuna e davvero cosi. Proprio questi fattori ci permettono di organizzare dei viaggi che ti fanno “vivere dal di dentro” la cultura locale. I ragazzi hanno scelto il cosiddetto tour di conoscenza, ma ci sono anche altri programmi che prevedono di vivere con una famiglia africana – o sudamericana – condividendo totalmente la loro vita quotidiana. E si scelgono le famiglie tra quelle che possono comunicare almeno in inglese. Inoltre ci sono anche i programmi “lavorativi”, soprattutto per gli studenti che vogliono vivere con gli artigiani che collaborano con gli europei, e aiutarli dal punto di vista tecnico e organizzativo.

- Gli articoli che fanno questi artigiani sono proprio quelli che troviamo nei negozi “Villaggio dei Popoli”?
Max: Li l’assortimento e piu ricco, ci sono anche gli oggetti per la cucina, i vestiti, la cosmetica, i giocattoli. Ma gli alimentari li portiamo anche alla COOP e in certi bar che dichiarano di favorire la crescita culturale nei paesi “in via di sviluppo” e ci comprano il caffe, il te e il cioccolato, sia africani che sudamericani. La collaborazione con gli artigiani, appunto, è partita prima del turismo ed è stata usata per tracciare gli itinerari turistici, coinvolgendoci le comunità degli artigiani. Prima di tutto, sono già persone conosciute pronte a collaborare. E poi, visitare uno studio artigianale è interessante anche dal punto di vista turistico.

- Pero non e che in questi viaggi ci si senta un po superbi, come se il pensiero ricorrente fosse: “eccoci, siamo europei e siamo gentilmente venuti a vedere come vivete?” Perche non organizzate anche le visite “di risposta”?
Max: Certo che ci è venuta questa idea, proprio perchè non è un problema solo africano. Magari i paesi meno sviluppati sono stati vittime dal punto di vista economico. Però gli effetti negativi del turismo “di massa” si vedono anche qui, in Italia, dove ormai si viene solo per lo shopping e per il mare. Non pensi che non ci piacciano queste cose – ma l’Italia può offrire itinerari molto piu originali e piu personalizzati – il nostro centro cooperativo lavora con i gruppi fino a 14 persone. Per esempio, c’e un’idea di organizzare un tour che si potrebbe chiamare “I corsi della cucina italiana”, una specie di agriturismo. Si immagini di vivere in un palazzo medievale su una collina toscana (alcuni di questi palazzi ormai appartengono alle organizzazioni missionarie, e anche loro sono interessati delle cose che organizziamo noi): al mattino potrà fare un giro in provincia, visitare le cantine, degustare il vino e i piatti tipici toscani, e nel pomeriggio potrà imparare a cucinare quelle cose che vi sono piaciute di piu. Certo che potrà anche andare a Firenze a vedere tutte le curiosità della città, ma non crede che il contenuto del vostro viaggio sarà notevolmente arricchito?

- Quindi, che devono fare i russi che hanno sentito la voglia di vivere come gli indigeni africani? E possibile una collaborazione anche con la Russia?
Max: E perche no? In pratica e possibile anche a livello personale – ma cosi avremo di sicuro tanti problemi burocratici. Sarebbe ideale trovare un tour operator russo che voglia entrare nel programma per far conoscere anche ai russi tutto il fascino e il mistero di questi viaggi esotici. E poi... sa, la maggior parte degli italiani sono ancora sicuri che le strade delle città siberiane sono colme di orsi polari. Non e ancora l’ora di distruggere questo mito?

Contatti:
Max Gini
maxgi@inwind.it
+39 338 431 0663
www.viaggisolidali.it