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Il centro italiano

Il centro Italo-Russo per le ricerche su mass-media, cultura e comunicazione

Giovane e grande (L’Optimum, marzo 2006). Eugenia Selisceva

Non tutti i vini sono destinati a diventare grandi. Non tutti sanno come farli diventare tali. Interessati della storia del famoso chianti, ci siamo recati proprio nel cuore dell’Italia dove conoscono il segreto del successo inebriante.

Ci fu uno scontro tra Firenze e Siena – una di quelle solite contese che hanno lacerato la Toscana per secoli. Quella volta litigarono per le frontiere. Gli arbitrati all’epoca non c’erano, e si pensò di risolvere il caso così: nel giorno stabilito due cavalieri, uno senese, l'altro fiorentino, sarebbero partiti dopo il canto del gallo: la frontiera sarebbe stata posta nel luogo del loro incontro. Quanto stabilito sembra equo..vero? Sembra.. perché i fiorentini, per accaparrarsi più territorio possibile, non esitarono a far digiunare il loro gallo per 24 ore: il risultato fu che nel giorno decisivo il povero uccellino cantò molto più presto del solito, tanto che il cavaliere fiorentino riuscì a coprire ben dieci chilometri in più del suo avversario. Il posto del loro incontro è ormai famoso non solo in tutta Italia, ma addirittura anche all’estero: infatti, proprio qui, sui colli bellissimi a trenta chilomenti da Firenze e a venti da Siena, si trova la famosa zona Chianti, dove si produce il celeberrimo vino italiano. Niente sembra cambiato da quei tempi leggendari. Il gallo nero che cantò prima dell’alba resta il simbolo di questa regione italiana e qui, in Toscana, in ogni angolo ci si imbatte in un ristorante, o in un caffè, o in una cantina che lo hanno per insegna. L’antipatia tra i fiorentini e i senesi permane tuttora, alimentata dagli incontri calcistici tra le due formazioni che militano nella serie A italiana. Al contrario di questa contesa che ha origini antichissime, il chianti si è rivelato, sorprendentemente, un fenomeno abbastanza recente, tanto da essere ancora in fase di formazione e innovazione. Ne abbiamo parlato con Francesco Naldi, un agronomo e un enologo, che da 15 anni lavora a Vignamaggio, una delle cantine più antiche di tutta la Toscana.

- Forse lei sarà sorpresa, ma quel vino che oggi viene venduto come chianti, appena trent’anni fa non esisteva ancora. Ho cominciato a lavorare in questo campo nel 1987 e ho direttamente partecipato ai cambiamenti che hanno aiutato il chianti a raggiungere il suo attuale livello.

- E che cosa andava venduta come chianti prima? E come mai il vino con la storia di soli trent’anni è riuscito a diventare uno di piu’ famosi e affermati nel mondo?
- Secondo me il chianti ha dovuto il suo successo soprattutto a circostanze favorevoli. Prima era il nome del solito vino fatto in casa: ognuno lo faceva a modo suo, mescolando vini diversi secondo nessuna regola prestabilita. Gli immigranti che negli anni ‘50 si recarono in America portarono con loro questo vino come ricordo della loro patria. Si racconta che lo facevano persino in alto mare, sulle navi: si travasavano diversi vini nella stessa bottiglia, si facevano mescolare tra loro e dopo lo bevevano. In seguito, quando il numero degli immigranti è considerevolmente cresciuto, se ne è organizzata l’esportazione: pertanto, il chianti ha avuto un certo successo ed è anche diventato abbastanza famoso. In Italia esistevano già vini più nobili e più delicati quali il Brunello di Montalcino, il Barolo – ma questi erano troppo costosi per conquistare per primi il mercato mondiale. Quello che volevo dire iniziando il discorso è che quel chianti, il chianti degli anni 50, non era ancora il prodotto attuale, che tutto il mondo conosce oggi.

- Quindi, il brand è venuto fuori prima del prodotto stesso, ed è stato il mercato a fare elevare la qualità per non perdere le posizioni conquistate?
- Proprio così. Nella metà degli anni ‘70 scoppiò una crisi terribile: i negozi erano colmi di vino che non riuscivano a vendere. Ed era anche naturale: il chianti non aveva alle spalle nessuna base scientifica per fare concorrenza allo stesso bordeau che aveva già una storia di 150 anni (anche se per i francesi il vino italiano non esiste tuttora). All’epoca, i proprietari delle cantine si ostinavano a produrre il vino senza seguire delle regole comuni: è ovvio che il ricettario subiva tante variazioni, tanto che molti usavano persino l’uva bianca! Quest’approccio fu la causa della loro crisi: molte cantine furono vendute. Solo allora si incominciò ad assumere veri professionisti e nella storia del chianti si aprì una nuova epoca e la qualità di produzione raggiunse finalmente un livello degno del suo potenziale.

- Ma dal punto di vista professionale il chianti è davvero il migliore vino italiano?
- Sa, è molto difficile parlare del vino “dal punto di vista professionale”. E’ come se lei mi chiedesse se è migliore una Mercedes o una BMW. Dipende dai gusti. L’unica cosa che vorrei precisare è che c’è differenza tra il solito chianti e il chianti classico. Il chianti è un vino che si vende ad un prezzo relativamente basso, lo si produce praticamente in tutta la Toscana e, cosa molto importante, lo si beve giovane. La zona dove ci troviamo noi si chiama Chianti Classico, e solo qui si fa il vino omonimo, dal gusto più ricco e più corposo, un vino che si può conservare in bottiglia per 7, 8 e anche 15 anni. Il fatto è che in questa zona si sono “incontrati” i più favorevoli fattori per piantare l’uva: un clima mite e un terreno non troppo fertile. E’ meglio avere il terreno più povero perchè dà meno piante, ma assicura una vigna di qualità superiore. Assaggiando il vino che proviene a soli 10 km da qua ci si accorge che è assolutamente diverso. Quando dicevo che trent’anni fa un prodotto simile non esisteva, mi riferivo proprio al chianti classico. Usando le moderne tecnologie abbiamo saputo estrarre da questo terreno più di quanto era in grado di offrirci. Sostanzialmente, dico della ricetta, il chianti e il chianti classico sono praticamente uguali: 80 % di sangiovese con l’aggiunta di altri vitigni. Ma per la riserva, cioè per il vino che è destinato a subire l’invecchiamento, usiamo le vigne migliori. Questi vini sono più ricchi di tanini, con un minimo percentuale dell’alcool di 13 gradi.

- Dov’è scritta la ricetta del chianti?
- C’è una legge speciale dove sono stabilite le cose principali: la percentuale dei vitigni, il livello di alcool, il divieto di aggiungere lo zucchero nel vino.

- E come mai questa fissazione dello zucchero? I francesi non ci fanno caso, come mai in Italia aggiungere lo zucchero viene considerata un’infrazione della tecnologia?
- Sinceramente dal punto di vista tecnologico lo zucchero non dà troppi problemi. Il problema è piuttosto di carattere politico. I francesi non hanno il problema del sud Italia dove producono i mosti concentrati, cioè il vino che ha passato l’evaporazione fredda e che quindi è privato dell’acqua. Questi mosti possono essere aggiunti al vino al posto dello zucchero. Se ora si legalizza anche l’uso dello zucchero, che facciamo con i mosti? E poi, c’è anche una questione tecnica. I mosti sono più costosi, quindi garantiscono un certo livello di qualità, visto che il vino in Italia viene tuttora prodotto anche in modo artigianale, in casa.

- Sulle bottiglie del chianti uno può vedere tanti nomi diversi – dai “Colli di Siena” ai duci e alle duchesse di tutti i generi. Quanto spesso nel vostro assortimento appaiono dei vini nuovi e chi li “battezza” a Vignamaggio?
- Il nome del vino è il frutto della fantasia del proprietario. Però i prodotti nuovi escono fuori soprattutto per i motivi commerciali, per vivacizzare in un certo senso la nostra proposta. Prima di tutto noi pensiamo al vino tradizionale: scegliendo le piante migliori, degustando l’uva, distribuendola per tre tipi di chianti classico. Non tutti gli anni abbiamo la stessa quantità della riserva: se l’annata non ha le caratteristiche di riserva, facciamo un altro vino, più leggero, più semplice. E solo dopo possiamo combinare i vigneti in qualsiasi proporzione, sperimentare e creare dei vini nuovi, non solo con il sangiovese come vitigno dominante, ma anche a base del merlo e altri vigneti. In generale non è che succede troppo spesso: l’ultimo vino nuovo, Obsession, l’abbiamo messo al mercato nel 1997.

- Che prospettive ha il chianti? 30 anni sono bastati alla maturazione di questo vino oppure gli tocca ancora “crescere” nel senso tecnologico?
- Due anni fa il Vignamaggio ha festeggiato i suoi 600 anni, e abbiamo organizzato una degustazione del chianti classico riserva Castello di Mona Lisa dal 1985 al 2001. Questi sono vini meravigliosi, fantastici – il massimo di quello che può dare questo terreno. Per quanto riguarda la tecnologia abbiamo già raggiunto un buon livello. Il problema ancora da risolvere è piuttosto la qualità della produzione artigianale del chianti in Toscana.

E poi, in questi ultimi anni, il mercato mondiale del vino ha subito notevoli cambiamenti dovuti in gran parte ai tanti “nuovi” paesi produttori: il Cile, il Brasile, l’Australia, la Nuova Zelanda, l’Argentina, il Sudafrica. I loro prodotti hanno una qualità elevata e un prezzo più basso rispetto al vino europeo. Vedremo come si difenderà questa volta il chianti.