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Il centro italiano

Il centro Italo-Russo per le ricerche su mass-media, cultura e comunicazione

La melodia dell' Italia. Di Vladimir Vinogradskij

Aleksandr Grin scriveva che ciò che avrebbe potuto essere ci chiama imperiosamente, ma adesso, è ciò che è stato che mi chiama. È stato nell'ottobre del lontano 1961. Allora avevo appena superato l'esame di ammissione per svolgere il dottorato nella facoltà di giornalismo dell’ MGU, l'università statale Lomonosov di Mosca; io, Volodja Vinogradskij, con un gruppo di artisti del CCCP, per venti giorni girai l'Italia in un autobus speciale da Venezia a Venezia, dato che eravamo arrivati là in treno, passando da Budapest e Vienna. E nello stesso modo tornammo indietro.

Mi fa piacere il pensiero che sono stato uno dei primissimi rappresentanti dell' illustre facoltà di giornalismo dell' MGU a visitare l' assolata penisola appenninica – e mi spaventa pensare che sono già passati cinquant'anni precisi! - Venezia, Genova, Milano, Roma, Napoli, Capri, Firenze e un sacco di piccole città lungo il tragitto, se ci veniva voglia di visitarle. Il tragitto fu meraviglioso, come del resto tutto il viaggio. Il direttore della compagnia che ci ospitava compariva inaspettatamente in ogni città nella hall dell'albergo proprio nel momento in cui ci davano le chiavi delle camere. Appariva su una lussuosa Ferrari e in macchina accanto a lui, adombrando la sua elegante giacca all'ultima moda, sfavillava una magnifica bionda dalle spalle scoperte. Lui a passi veloci volava nella hall, ordinava brevemente al direttore dell'albergo: «Cognac per tutti!», dopodiché sollevava il bicchiere con la bevanda color oro ed ogni volta pronunciava lo stesso brindisi: «Vi auguro una buona permanenza a Roma!» , e così via.

Quel meraviglioso spettacolo si ripeteva in ogni città. Poi, così inaspettatamente come era comparso, quel mago scompariva. Che scena indimenticabile! Nel nostro gruppo c'erano ragazzi brillanti e di talento, che a quel tempo nel paese erano conosciuti ancora da poche persone. Ad esempio, quello che in seguito sarebbe diventato il celebre pittore Viktor Popkov; il pittore Alëša Šmarinov, che aveva ereditato il talento dal padre, conosciuto in tutto il paese; Larik Egitjan, che sarebbe diventato in seguito un importante storico dell'arte armena, ed altri. Non mi fu più possibile, nei miei viaggi successivi, visitare l'Italia nel modo sorprendentemente minuzioso in cui ce la mostrarono loro. Lo scrittore e pittore Carlo Levi, amico di Il'ja Erenburg, ci accolse nel suo enorme laboratorio. Proprio quel Carlo Levi, autore del libro “ Cristo si è fermato a Eboli”, che a quel tempo aveva suscitato scalpore, ci raccontò a lungo dei sacri misteri dell'arte, delle abilità segrete del pittore e dello scrittore. Il professor Lapira, sindaco di Firenze, a quel tempo conosciuto in tutto il mondo, ci ricevette nel suo ufficio all'interno del municipio della città e ci onorò di una chiacchierata di due ore. Il professore del dipartimento di russo della facoltà di lettere dell'università di Milano, la cui figlia Paola ci fece da interprete per tutti i venti giorni del viaggio, ci invitò a casa sua, dove ci aspettavano i suoi studenti, che si stavano specializzando in russo. A proposito, rimanemmo impressionati dall'enorme appartamento del professore, dove trovavano comodamente posto sia gli ospiti che i padroni di casa, per un totale di una quarantina di persone. Allora ci colpì molto che gli studenti dell'università di Milano conoscessero così bene la poesia sovietica contemporanea. Ad esempio, una studentessa iniziò a leggerci dei versi della poesia “Foglie”, di Leonid Martynov (“ Stavano sul marciapiede. E di colpo si indiavolarono..”). E allo stupore non c'era limite: mica tutti i nostri studenti in Russia conoscevano a memoria i versi di Leonid Martynov.

In Italia tutto per noi era un’ iniziazione, tutto era nuovo e conoscibile per la prima volta. Ecco, ad esempio, le usanze della stampa borghese, con cui adesso facevamo conoscenza più da vicino e in modo più dettagliato. Una testata importantissima, il cui titolo di apertura, sulla prima riga di un giornale enorme, recitava: “Hitler ed Eva Braun sono sbarcati con un sommergibile sulle coste Argentine” (ricordo, era l'Ottobre dell'anno 1961).

Con orrendo stupore compriamo il massiccio numero da sessanta pagine. E dopo lunghe ricerche, alla pagina 53 troviamo un trafiletto informativo di quindici righe sul nuovo romanzo di un tale che si è inventato quella fantasiosa conclusione della seconda guerra mondiale.

Ma intanto il giornale l'avevamo acquistato! Questo espediente adesso viene usato di buon grado anche dai mass media del nostro paese.

Non staremo a puntare il dito.

E così accadde che dopo aver visitato il Vaticano, quando uscimmo sull'enorme piazza di fronte alla cattedrale di San Pietro, questa era completamente piena di gente che aspettava il momento in cui, dalla finestra di fronte, si sarebbe affacciato il Papa di allora, Giovanni XXIII, per rivolgere la sua benedizione ai credenti.

Quando Giovanni XXIII comparve ed iniziò a parlare, tutta l'enorme piazza si mise in ginocchio. In mezzo a quel “mare” piatto di teste si stagliava un'unica isoletta di una dozzina ti persone. Eravamo noi. Allora Paola disse: “Comprendo perfettamente, ma sarebbe comunque meglio se anche voi vi inginocchiaste di fronte al Papa.”

E così ci inginocchiammo, e questo era giusto, e da cristiani, anche se il Comitato Centrale del Komsomol e la sua agenzia turistica “Sputnik” , che aveva organizzato lo splendido viaggio, probabilmente non avevano previsto collisioni di questo tipo. In tutta questa sinfonia di impressioni sull'Italia, che suonava sotto un carezzevole sole di Ottobre, si distinguevano le note e le melodie più diverse. Ad esempio, risuonavano in diretta i valzer di Strauss nell'esecuzione dell'enorme orchestra sinfonica disposta di fronte al Palazzo dei Dogi nell'ampia piazza principale di Venezia. Risuonavano vibranti le dispute sui capolavori che osservavamo – su Tintoretto, Raffaello, Da Vinci, Michelangelo, Veronese, Giorgione. Larik Egitjan si esprimeva con un tono appassionato che non scendeva a compromessi: “Matisse!” gridava, “Matisse! Ecco un artista vero! E il vostro Repin, è un apprendista al confronto! Solo i dilettanti ritengono che Repin sia un artista!”.

In questo massimalismo giovanile, penso adesso, non c'era niente di offensivo, c'era semplicemente il desiderio di carpire il mondo il più in fretta possibile, di cogliere la sua immensa bellezza, di goderla a pieno.

Divina Italia, dove l'aria stessa è imbevuta di questa bellezza, generosamente hai aiutato tutti noi a realizzare questo desiderio.

Ci furono anche episodi paradossali per quei tempi. Quando, a Milano, in una della fabbriche “FIAT” , ci condussero ad un reparto militare chiuso, che veniva sorvegliato da mitragliatori, e ci mostrarono come venivano costruiti i motori diesel per i sommergibili; oppure quando il motoscafo che ci portava da Napoli a Capri, come per caso passò ad un centinaio di metri dalle navi da crociera e dalle navi da guerra della settima flotta americana, stanziata nella baia di Napoli.

E questo nel 1961! Quando gli USA e la NATO erano considerati i nostri più probabili nemici in caso di guerra.

Oppure il divertente episodio che accadde a Firenze, dove in quei giorni si teneva il congresso dei giovani fascisti italiani, e la città era sommersa dei loro manifesti e dei loro slogan. Ma sempre l' abile e premuroso direttore della compagnia che ci ospitava sistemò i suoi ospiti sovietici in una pensione per la gioventù americana, onde evitare eccessi da parte dei fascisti, e dalle nostre finestre giorno e notte sventolava un'enorme bandiera a stelle e strisce.

Oppure, sempre a Firenze, quando stavamo visitando la città, e sul parabrezza dell'autobus comparve una bandiera rosso vermiglio del CCP, che non togliemmo (anche se ci avevano suggerito di farlo). Quando eravamo fermi al semaforo, nell'autobus fece irruzione un ragazzo agitato, il quale, mostrandoci tutte le dita, gridava qualcosa di spaventoso in italiano. Il nostro imperturbabile autista Giuseppe, che indossava, come sempre, una camicia bianca come la neve ed una cravatta elegante, senza dire nemmeno una parola, si alzò dal sedile, afferrò il ragazzo per la collottola, gli assestò letteralmente una pedata nel didietro e lo scaraventò sul marciapiede. Poi allo stesso modo, in totale silenzio, si girò verso di noi e disse solo una parola: “Fascista” e, impassibile, si rimise al volante.

A questo primo incontro con l'Italia, così come al primo amore, è particolarmente adatto il termine “indimenticabile”. Vedere così tanto in una sola volta!

Alëša Šmarinov dopo i nostri incontri con l'arte dei grandi maestri agli “Uffizi” o in “Vaticano” si lamentava: «È così emozionante, ti impressiona in modo così potente che la testa non riesce a sostenere tutto in una volta, ed inizia a farti male la nuca».

Tutto questo mosaico di impressioni italiane è rimasto vivo ancora adesso e non svanisce. Ecco, per dirne una, quando attraversammo la riviera italiana da Genova a Roma per una strada che zigzagava lungo il mare.

Ci fermammo così, a caso, in una zona selvatica.

Attraversando rocce scivolose per le alghe verdi che odoravano di iodio, ci addentrammo con attenzione in profondità, ci mettemmo a nuotare nel mare azzurro, pulito e limpido sotto il sole, dopodiché ci accomodammo in una taverna accarezzata dal sole che si trovava lungo la strada, e davanti ad una bottiglia di Chianti rivestita di paglia ci mettemmo a discutere di arte, di vita, di bellezza e di felicità.

Tutto questo, che è stato, a volte mi chiama... Una delle poesie che scrissi allora.

Capri

Subito ci hanno mostrato la casetta di Gor’kij.
A Capri la conoscono, la casetta di Gor’kij.
Le siamo andati incontro, terribilmente orgogliosi. Noi in giro per Capri, come per la città natale.
E il banano fioriva di calici color ciliegio, l'azzurro «gelsomino celestiale» gioiva.
E il sole indorava le picche degli scogli
e scolpiva il cuore di un arcobaleno miracoloso.
E qui i musei non li ha costruiti il potere, perché rivoltare la storia inutilmente...
e con i musei si vola nella storia...
e in quella casetta hanno formato dottori.
E forse, avvocati...il potere imbroglia.
L'edera verde, come una volta, nasconde la casetta. Splende un' onda di fuochi smeraldo.
E, come allora, ride il saggio mare.
Forse anche il mare conosce la casetta di Gor'kij. Forse tutti a Capri conoscono la casetta di Gor'kij. Scendiamo fino al mare, noi, i Fieri.
Andiamo verso il mare, e forse così anche da Gor'kij.
Scendiamo per la scaletta bianca nella roccia. L' enorme mare blu si avvicina.
Incontra, il mare, i nipoti della procellaria.
E il gigante buono sorride.

Trad. Sara Santini